Dal 21 febbraio fino al 18 luglio le sale di Palazzo Reale a Milano ospitano la mostra “Keith Haring. About art” dedicata ad una delle icone della pop art. Ma chi era Keith Haring? Molto probabilmente anche chi non conosceva già l’artista, guardando l’immagine di copertina di questo articolo avrà pensato: “Ah, ma allora è lui!”.
In effetti i suoi “omini” stilizzati si trovano ormai dappertutto ed hanno uno stile inconfondibile.
Ebbene, li aveva inventati lui!
Le sue figure stilizzate, come è tipico di molta pop art, richiamano direttamente la grafica del fumetto, specialmente in quelle linee di movimento che danno vita a personaggi in continua agitazione. È come se le immagini di Haring danzassero costantemente. Non a caso uno delle personaggi cui fu molto legato e di cui organizzò anche alcune performance è Madonna.
La pop star, parlando dell’artista, racconta: «Il lavoro di Keith iniziò nelle strade e attirò l’attenzione delle stesse persone che si interessavano a me, soprattutto neri e ispanici, persone con basso reddito e un background umile. La sua arte piaceva alle persone che apprezzavano anche la mia musica. Venivamo dallo stesso mondo e quel mondo ci aveva ispirato».
Le sue figure però non sono semplicemente un inno ingenuo alla vitalità, anzi, in molti lavori troviamo immagini scatenate nel bel mezzo di situazioni violente o tragiche. C’è una precisa simbologia nelle figure che l’artista amava rappresentare: la croce al centro dell’“omino” indica la morte, così come sono frequenti “omini” che si trafiggono a vicenda o vengono divorati.
Le opere di Haring nonostante l’apparenza non sono un mero sottoprodotto del colorato edonismo americano del periodo, ne erano anzi una denuncia, una critica feroce sotto forma di ribellione agli stili tradizionali (tendenza che lo accomuna a molti altri celebri artisti provenienti dalla street art come Jean-Michel Basquiat). Quasi in coerenza con la sua arte, Keith Haring ebbe una fine altrettanto drammatica e “simbolica”. Come rappresentante della scena omosessuale statunitense degli anni ’80, fu una delle tante vittime inconsapevoli della prima epidemia di AIDS.
Quando morì, nel 1990, si impegnò come attivista in molte iniziative per contrastare la malattia.