
Alle 8:15 del 6 agosto 1945, sicuramente, qualcuno tra gli abitanti di Hiroshima alzò lo sguardo al cielo e avrà visto la scia e le carlinghe luccicanti di tre solitari B29 americani. Qualcuno tra gli abitanti di Hiroshima deve aver pensato: «Niente di strano». Non era poi così raro avvistare bombardieri nemici diretti a sganciare il loro carico chissà dove. L’allarme aereo non era scattato, non c’era di che preoccuparsi. Una scena già vista, quasi ogni giorno. Ma quando nel cielo sopra a Hiroshima comparve un paracadute bianco, allora sì, qualcuno deve aver pensato che stesse accadendo qualcosa di insolito. Da quel paracadute penzolava un ordigno mai visto prima, una “ira di dio” che a circa 600 metri d’altezza detonò. E fu come se un piccolo sole fosse sceso sulla terra.
Alle 8:17 Hiroshima non esisteva più, spazzata via dalla prima bomba atomica mai usata in guerra. Ottantamila civili giapponesi furono polverizzati nell’arco di poche frazioni di secondo. Le bombe di Hiroshima e Nagasaki secondo alcuni furono “atti di guerra necessari” per evitare gli ulteriori, immani, spargimenti di sangue che invadere il Giappone avrebbe causato; secondo altri, invece, si trattò di “massacri evitabili”. Ma quello che avvenne prima a Hiroshima e poi a Nagasaki, di lì a tre giorni, assomigliò più alla fine del mondo che a un atto di guerra. Da quel giorno gli esseri umani hanno cominciato a convivere con la certezza di avere la capacità di autodistruggersi. Le bombe atomiche sganciate sul Giappone uccisero subito e negli anni successivi a causa delle radiazioni circa 300.000 persone, quasi tutti civili inermi. Il 15 agosto il Giappone firmò la resa. Così finiva la Seconda guerra mondiale lasciando il mondo nello sgomento e nel terrore nucleare che l’ha accompagnato per tutta la durata della Guerra fredda.
Nel cuore dell’esplosione della bomba sganciata a Hiroshima si raggiunse la temperatura di 60 milioni di gradi centigradi. L’onda d’urto si propagò a 3000 metri al secondo. Il cuore della città fu letteralmente polverizzato e con esso 80.000 persone morirono all’istante. I testimoni affermarono che, subito dopo il lampo dell’esplosione e la comparsa del fungo atomico, Hiroshima non esisteva più. Le strutture in cemento armato di alcuni edifici, tuttavia, sopravvissero anche se molto vicine a ground zero, il punto sulla verticale dell’esplosione avvenuta a circa 600 metri di quota. Lo scheletro e la cupola della Sala della prefettura per la promozione industriale, che compare nella foto, sono diventati il simbolo di quel maledetto giorno di inizio agosto del 1945.
Alcuni storici ritengono che le bombe di Hiroshima e Nagasaki furono i primi atti della Guerra fredda. Negli anni ’50 anche l’URSS diede il via al suo piano nucleare di sviluppo ed ebbe inizio così la corsa agli armamenti. Sia i sovietici sia gli americani dimostrarono non poco cinismo nella sperimentazione di ordigni nucleari sempre più potenti. In questa foto scattata nel deserto del Nevada nel 1952, un gruppo di militari viene deliberatamente esposto alle radiazioni. All’epoca le autorità militari erano ben consce dei rischi che si sarebbero corsi in questo genere di esercitazioni, ma procedettero comunque. Si voleva studiare la possibilità di utilizzare bombe nucleari tattiche in un teatro di guerra. Alcuni rapporti parlano di centinaia di migliaia di cittadini americani esposti alle radiazioni degli esperimenti nucleari.
Un fungo atomico sorge dal mare delle isole Marshall e si allunga per chilometri nel cielo. Durante le prime fasi della Guerra fredda sono state decine le bombe atomiche fatte detonare dalle Superpotenze nell’atmosfera. Furono sperimentati ordigni sempre più devastanti fino alla bomba sperimentata dai Russi nel 1961, la cosiddetta “bomba zar”, un ordigno devastante di oltre 50 megatoni, oltre 3000 volte più potente della bomba di Hiroshima. Venne fatta detonare sull’isola di Novaja Zemlja a nord del circolo polare artico. Il lampo provocato dalla sua esplosione fu visto a 1000 km di distanza e arrivò a radere al suolo edifici di legno posti a un centinaio di chilometri. Il suo raggio di distruzione totale fu di 35 chilometri. Andrej Sacharov, il suo creatore, negli anni a seguire ebbe una crisi di coscienza e divenne uno dei più famosi dissidenti del regime comunista.
Atollo di Bikini, 1956: è appena esplosa la bomba H denominata Cherokee, uno dei 17 ordigni termonucleari che gli americani fecero detonare in quello che a tutti gli effetti diventò un vero e proprio poligono nucleare. Fu il primo test con una bomba a idrogeno sganciata da un aereo. L’Atollo diede il nome al costume da bagno in due pezzi divenuto famoso negli anni ’50-’60 in quanto “esplosivo”. A Bikini cominciò l’era delle bombe a idrogeno, ordigni migliaia di volte più potenti rispetto alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki.
L’esito di un altro test atomico nelle Isole Marshall negli anni ’ 50. Stava cominciando l’epoca delle “proliferazione nucleare”, durante la quale non soltanto USA e URSS ma anche molti stati non “superpotenze” come Israele, Inghilterra, Sudafrica, Francia, India e Pakistan si lanciarono nella corsa all’atomo per scopi militari. Durante la Guerra fredda furono prodotte 130.000 testate nucleari e vennero effettuate oltre 2000 esplosioni sperimentali. Attualmente le armi atomiche presenti nei vari arsenali ammontano ufficialmente a circa 15.000. Più che sufficienti a rendere il pianeta un luogo inabitabile per decenni.
Sono passati 72 anni dal 6 agosto 1945 e Hiroshima è stata ricostruita. La cupola della Prefettura è divenuta un monumento, il “Memoriale della Pace”. Ogni anno si tengono commemorazioni del tragico evento e da qui sono lanciati messaggi di pace e ammonimenti al genere umano. Sul finire del secolo scorso le Superpotenze sono venute a più miti consigli interrompendo la corsa agli armamenti nucleari. Ma se tra Russia e Stati Uniti la Guerra fredda è finita, il rischio nucleare non è stato scongiurato. Stati come la Corea del Nord e l’Iran stanno cercando di sviluppare un proprio arsenale e quelli di India e Pakistan sono ancora operativi. Il rischio che la bomba venga usata, magari nell’escalation di un conflitto regionale, permane.